Dal Suv alla bicicletta: La sostenibilità delle produzioni agricole viste da FEM
L'articolo di Claudio Ioriatti
Giovedì, 03 Maggio 2018
Fra le molte definizioni di “sostenibilità” ho scelto quella definita dal rapporto Brundtland delle Nazioni Unite (1987) secondo la quale una qualsiasi attività umana è giudicata sostenibile se è in grado di ”soddisfare le necessità attuali senza compromettere le possibilità per le future generazioni di assicurare una risposta ai propri bisogni”. Per assolvere a questo mandato non basta che ci si prenda cura della sola salute della specie umana (sostanze tossiche, salubrità dei cibi ecc.), componente questa essenziale della sostenibilità, se vogliamo che ci siano le citate “generazioni future”, ma non esaustiva. Ritengo a questo proposito preminente il rifermento alla “necessità di assicurare una risposta ai bisogni delle generazioni future”, perseguendo un modello organizzativo che si faccia carico di tutte le criticità ambientali, preservando l’insieme delle risorse naturali, energetiche e climatiche.
Con riferimento alla produzione agricola mi si chiede spesso che cosa si stia facendo in FEM per promuovere pratiche di agricoltura sostenibile. Nel rispondere a questa domanda elencando le diverse attività che a questo proposito sono in corso in FEM, ho avuto spesso la sensazione che gli interlocutori, soprattutto quando non di estrazione agricola, non riuscissero a comprendere fino in fondo l’impegno profuso dalla nostra istituzione a favore di questo ambizioso obiettivo. Ciò è probabilmente spiegabile per il fatto che l’agricoltura è ormai per molti cittadini un’attività lontana dalla loro quotidianità per cui risulta loro difficile apprezzare sia gli sforzi profusi nella ricerca di strumenti e pratiche di agricoltura sostenibile, che i risultati conseguiti attraverso una minuziosa e paziente attività di formazione e organizzazione dell’articolato comparto produttivo.
Ho pensato quindi che sarebbe stato utile fornire una chiave interpretativa più vicina all’esperienza comune, paragonando le diverse forme di agricoltura sostenibile alle varie modalità di spostamento delle quali quotidianamente facciamo uso.
In questo sensola produzione integrata potrebbe essere paragonata alla mobilità mediante motore a combustione interna, quello cioè che fornisce energia motoria attraverso la combustione di benzina, gasolio, gas metano o GPL. Questo tipo di mobilità fa uso di fonti energetiche non rinnovabili (se si esclude il biometano) dalla cui combustione si generano gas serra liberati nell’atmosfera insieme ad eventuali altri inquinanti tipo le polveri sottili. A questa forma di inquinamento ambientale che impatta direttamente nell’ambiente nel quale viene utilizzato il veicolo, dobbiamo aggiungere l’energia richiesta, spesso anche questa di origine fossile, necessaria per produrre e raffinare il combustibile. Questa parte dell’impatto ambientale dei motori a scoppio, definitaimpatto indiretto, è di solito sottovalutata in quanto si genera lontano dal luogo nel quale viene utilizzato il veicolo.
Nonostante questi inconvenienti, la mobilità basata sui motori a combustione interna è ancora oggi la più diffusa, sia per ragioni di costi di acquisto e di esercizio dei veicoli, sia per la facilità con la quale è possibile approvvigionarsi del combustibile, sia infine per la relativamente ampia autonomia di spostamento. Essendo questi i veicoli più ampiamente impiegati, qualsiasi piccolo miglioramento nel ridurre il loro impatto ambientale genera quindi un grande beneficio in termini complessivi. Ciò è perseguito attraverso la produzione di autovetture dai consumi più economici e dalle ridotte emissioni di inquinanti unitamente alla emanazione di norme che impongono stili di guida più misurati.
Analogamente, la produzione integrata è indubbiamente la modalità di produzione più ampiamente diffusa nella nostra provincia, sia nel settore frutticolo che in quello viticolo. Come ogni processo produttivo, essa genera un impatto ambientale diretto attraverso la produzione di gas serra, (prevalentemente per via dell’uso di macchine e per l’impiego di concimi organici), oltre che per la diffusione di potenziali inquinanti (fitofarmaci, fertilizzanti chimici, materiali plastici ecc). Attraverso i disciplinari di produzione integrata si dettano le norme per ridurre per quanto possibile queste esternalità negative limitando l’uso delle sostanze valutate più nocive, proponendo tecniche di coltivazione alternative all’uso delle sostanze più rischiose, ricercando nuove varietà di piante che siano più resistenti alle malattie e alle avversità abiotiche. Sulla spinta dell’opinione pubblica, molti degli sforzi si sono per la verità indirizzati alla limitazione del rischio di diffusione di inquinanti mentre minore è stata la tensione verso la ricerca di tecniche di coltivazione che riducano il fabbisogno energetico e di conseguenza la produzione di gas serra. Studi in questo senso però sono stati fatti utilizzando lo stesso approccio che viene seguito in altri processi produttivi vale a dire il calcolo LCA (Life Cycle Assessment). Con LCA si intende un sistema di calcolo del fabbisogno energetico necessario durante l’intero processo produttivo, ivi compreso la fabbricazione e messa in commercio dei mezzi di produzione, fonte a loro volta di quello che abbiamo definito inquinamento indiretto. In agricoltura, la metodologia LCA viene utilizzata per valutare la sostenibilità ambientale dei diversi sistemi di coltivazione ed è utile per identificare le varie opzioni disponibili per migliorare l’impatto ambientale nella filiera produttiva di beni alimentari ed agricoli. Sulla base di questi studi si sono messe in evidenza le maggiori criticità del sistema e alcune soluzioni tecniche sono state individuate e sono pronte per essere applicate, tenendo però ben presente che le piante, a differenza delle automobili, sono per loro stessa natura dei sequestratori di CO2.
Quando si pensa a come ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura si pensa innanzitutto a quell’insieme di azioni volte a favorire la stabilità e la resilienza dell’agro-ecosistema o a ridurre i rischi di perturbarne l’equilibrio. Il favorire l’azione degli organismi utili già presenti nella coltivazione o rilasciarne di nuovi nell’ambiente per incrementarne o ristabilirne la presenza nell’agroecosistema, quelle tecniche cioè che vengono indicate come metodi di lotta biologica, sono forse solo le più conosciute dal mondo non agricolo, ma sono in realtà una parte limitata, seppur forse la più suggestiva, dell’insieme di tecniche che si prefiggono l’incremento sella sostenibilità della coltivazione. L’accurata scelta delle formulazioni da ammettere nei disciplinari per la difesa da malattie, la riduzione dell’impiego di diserbanti sostituendoli con alternative meccaniche, la sostituzione di insetticidi di sintesi con metodi di controllo fisici e biotecnologici, l’implementazione di modelli previsionali e sistemi di supporto alle decisioni sono strumenti che possono ridurre il numero dei trattamenti antiparassitari e con essi il rischio di perturbare gli equilibri biologici e l’esposizione dell’uomo alle sostanze tossiche. Lo stesso vale per tutti i miglioramenti adottati nell’ambito della preparazione, gestione e distribuzione dei fitofarmaci con lo sviluppo di tecnologie che migliorano la tempestività degli interventi e riducono le quantità di miscela antiparassitaria impiegata e la deriva della stessa verso zone non bersaglio. La modifica dell’architettura e dei materiali utilizzati per l’allestimento degli impianti, la ricerca di varietà più tolleranti o resistenti a talune patologie, l’attenzione al mantenimento della sostanza organica nel suolo e di conseguenza la fertilità chimico-fisica e biologica, nonché l’uso razionale delle risorse irrigue sono solo alcune delle tecniche agronomiche che vengono promosse nell’ottica dell’incremento della sostenibilità.
Ognuna di queste tecniche incrementa il livello di sostenibilità della coltivazione, ma per ciascuna realtà si possono individuare l’insieme di queste che massimizza il livello di sostenibilità consentito da quello specifico contesto socio-economico.
Continuando la similitudine, la produzione biologica la potremmo paragonare alla mobilità basata sui motori ibridi ed elettrici.L’impiego di autovetture e mezzi pubblici ad alimentazione elettrica sta prendendo sempre più piede a mano a mano che l’industria sviluppa mezzi di locomozione più efficienti a costi sempre più accessibili. La convinzione è che questi veicoli, non dando luogo ad emissioni nocive, abbiano un impatto ambientale pressoché nullo e comunque notevolmente più contenuto rispetto ai veicoli a benzina o diesel.
Se ciò può essere senz’altro vero per quanto riguarda l’impatto diretto, cioè l’inquinamento che si genera dal loro impiego, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda le emissioni generate nella produzione delle batterie che alimentano i motori elettrici e per quanto riguarda la produzione di energia elettrica che viene utilizzata per caricare le batterie, la quale in una parte significativa è ancora ottenuta da centrali termoelettriche (si stima che vengano emessi 630 grammi di gas serra per Kwh prodotto). Inoltre i veicoli elettrici non si prestano per ora a soddisfare le esigenze di chi viaggia molto, sia per la limitata autonomia delle batterie che per la sporadicità dei punti di rifornimento. E’ pur vero però che nonostante ci siano ancora delle perplessità sul reale beneficio ambientale e delle effettive limitazioni per un loro uso generalizzato, la tecnologia impiegata nel loro sviluppo è in continua evoluzione ed allarga progressivamente la forbice fra l’impatto ambientale del motore termico rispetto a quello elettrico.
Come per il motore elettrico anche verso l’agricoltura biologica si riversa un crescente interessetestimoniato da un mercato dei prodotti agricoli biologici che negli ultimi anni è cresciuto con percentuali a due cifre. La convinzione è che l’agricoltura biologica produca prodotti più sani e più rispettosi dell’ambiente. Se non si può escludere che una quota parte dei produttori biologici si sia convertita a questo sistema di produzione per raddrizzare i bilanci aziendali, non si può negare che una parte di loro sia stata mossa da ragioni etiche, consapevoli che l’agricoltura biologica offre l’opportunità di produrre adottando pratiche che rispettano maggiormente l’ambiente di quanto non faccia la produzione integrata.
Come per i motori elettrici però, anche per l’agricoltura biologica non si può parlare di assenza di impatto ambientale o zero emissioni. Vi sono certamente ancora molte lacune nella conoscenza dell’impatto complessivo dovuto all’uso di sostanze tossiche, all’efficienza energetica e alla produzione di gas serra da parte dell’agricoltura biologica. Gli studi più recenti condotti sia in viticoltura che in melicoltura applicando il già citato metodo LCA, pur nella variabilità delle situazioni studiate (sito, dimensioni campionarie, coltura, durata dello studio, ecc.) sono però concordi nell’attestare che l’agricoltura biologica genera un minor impatto per unità di superficie coltivata, una riduzione che può arrivare anche al 50%, ma a seguito della minor produzione unitaria, l’impatto ambientale per unità di peso di prodotto ottenuto può in taluni casi essere anche superiore a quello generato con il metodo integrato. Un grande contributo all’incremento delle emissioni di gas serra è dato dal consumo di carburante nelle operazioni meccaniche, necessariamente più frequenti in agricoltura biologica, mentre un importante effetto di mitigazione è dato dal sequestro del carbonio attraverso l’impiego di sovescio. Per quanto riguarda la tossicità diretta per l’uomo e per l’ambiente, molto dipende dalla quantità di fungicidi utilizzati, che sebbene presentino generalmente una bassa tossicità per unità di peso, i rilevanti quantitativi generalmente impiegati per la difesa delle malattie di vite e melo, soprattutto in luoghi di produzione poco vocati, riequilibrano la situazione rispetto alla produzione integrata. In questo senso una significativa riduzione della tossicità ed ecotossicità si può conseguire con l’adozione di varietà resistenti alle principali malattie; questa opportunità che ha riscosso e riscuote tuttora maggiore interesse da parte dei produttori biologici, sta guadagnando sempre maggior attenzione anche dal comparto integrato. Sempre a proposito di ecotossicità, è da più parti provato che la produzione biologica genera una minore contaminazione delle acque e del suolo nell’ambiente di coltivazione sia per quanto riguarda i fitofarmaci che relativamente ai fertilizzanti (eutrofizzazione), mentre qualche dubbio persiste relativamente alla maggior diffusione di sostanze tossiche derivanti dai processi di produzione delle macchine, che come abbiamo visto, sono spesso impiegate con maggior frequenza rispetto all’integrato quale alternativa all’uso di fitofarmaci.
La ridotta disponibilità di mezzi tecnici ammessi dal disciplinare di produzione biologica implica che per massimizzare il beneficio in termini di sostenibilità è indispensabile che il produttore biologico sia adeguatamente formato per interpretare correttamente le dinamiche in corso nel proprio frutteto o vigneto e sappia intervenire tempestivamente per correggere eventuali disequilibri. In questo senso è cruciale non solo l’erogazione di un servizio di consulenza specialistica, ma anche la proposta di una adeguata offerta formativa che preveda esperienze dimostrative condotte presso le stesse aziende biologiche con le quali validare le innovazioni tecnologiche messe a punto dalla ricerca e compatibili con il disciplinare dell’agricoltura biologica. Infine dobbiamo tenere presente che non tutte le zone si prestano per fare agricoltura biologica. Se infatti quella della vocazionalità dei luoghi dovrebbe essere una premessa per qualsiasi produzione si intenda intraprendere, da questa verifica non si dovrebbe prescindere nel caso si intraprenda la via del biologico (vedi Reg. 834/07), pena il mettere a repentaglio la sostenibilità economica della produzione.
Secondo gli esperti del settore, al di là delle attuali limitazioni, la scelta di investire sul motore elettrico è più che mai opportuna in quanto contribuirà indirettamente all’evoluzione di tutta la tecnologia amica dell’ambiente; analogamente è stato dimostrato che la promozione dell’agricoltura biologica, che come abbiamo visto ha i suoi indiscussi limiti, può favorire la crescita della sensibilità ambientale fra gli operatori del settore e l’incentivazione di stili di vita più salubri e sostenibili.
Una terza modalità di spostamento è quella che fa uso “dell’energia muscolare” vale a dire la deambulazione o l’uso della bicicletta tradizionale. Di certo non possiamo affidarci a questa modalità di spostamento per i lunghi tragitti soprattutto se frequenti e per ragioni di lavoro, ma senz’altro è un tipo di mobilità che deve essere favorito ed incentivato in quanto il suo impatto sull’ambiente è praticamente prossimo allo zero. Tutte le città più moderne sensibili ai temi ambientali, si attrezzano per favorire in modi diversi questo tipo di mobilità. Piste ciclabili, biciclette pubbliche, pedobus, sono alcuni esempi di come sia possibile incoraggiare il cittadino a fare a meno dei mezzi inquinanti per i trasferimenti in città. Benché sia sempre più estesa anche da noi la rete delle piste ciclabili, non si può dire che il loro uso sia per ora una reale alternativa alla mobilità tradizionale sui lunghi tragitti.
Analogamente nell’ambito agricolo è possibile sostituire con il lavoro manuale parte del lavoro eseguito mediante le macchine, così come avviene in talune aziende biodinamiche.L’agricoltura biodinamicainfatti, consapevole della finitezza delle risorse a disposizione, traduce in pratica i concetti dell’economia circolare mutuati dagli ecosistemi in equilibrio. Cerca pertanto di valorizzare il flusso di materiali e di energia disponibili in uno specifico contesto mediante il riciclo dei rifiuti e degli scarti della produzione e utilizzando fonti di energia rinnovabile che in taluni casi e per determinati scopi può essere appunto quella rappresentata dal lavoro manuale. Se a questo si aggiunge che questo tipo di agricoltura richiede un apporto minimale di rame e zolfo, e tende ad una significativa contrazione dell’impiego di macchinari, si può comprendere come l’agricoltura biodinamica, parimenti alla mobilità di spostamento di cui sopra, minimizzi l’impatto negativo sia diretto che indiretto sull’ambiente.
A questo tipo di agricoltura può essere assimilata anche la coltivazione degliorti domestici, laddove il conduttore, sensibile e impegnato nella tutela della sostenibilità sia adeguatamente formato sulle tecniche di coltivazione che salvaguardino gli equilibri dei sistemi biologici. L’autoproduzione di prodotti agricoli è considerata altamente sostenibile in quanto elimina anche il problema degli imballaggi e dell’energia per il trasporto.
Così come gli spostamenti a piedi o in bicicletta possono essere una valida alternativa alla mobilità veicolare in determinati contesti e entro limitati raggi d’azione, anche queste forme di agricoltura trovano applicazione in ben determinate realtà e per definite finalità. In entrambi i casi infatti la produttività è ridotta rispetto a quanto ottenibile nella agricoltura integrata. Tale contrazione è più o meno accentuata in funzione del contesto in cui si opera (vocazionalità dei luoghi di produzione, rusticità della coltura, ecc.), tantoché spesso per perseguire la sostenibilità economica è necessario integrare la produzione con la trasformazione e valorizzazione dei prodotti direttamente all’interno dell’azienda.
Torniamo a questo punto alla domanda iniziale: cosa si sta facendo in FEM per promuovere una agricoltura sempre più sostenibile?
Riassumendo quanto in parte già anticipato più sopra possiamo dire che FEM è impegnata nell’approfondire le conoscenze sui sistemi biologici e ambientali alla base del fare agricoltura, conoscenze queste indispensabili per lo sviluppo di strumenti tecnici la cui applicazione nel processo di produzione riduca l’impatto ambientale e migliori la salubrità dei prodotti agricoli. Vengono utilizzate le più moderne tecniche di biologia molecolare per lo studio del genoma delle piante e dei loro parassiti finalizzate ad individuare i meccanismi di interazione pianta-patogeno, a sviluppare innovativi metodi di controllo delle malattie e ad accelerare la selezione di piante resistenti a stress biotici ed abiotici. Vengono altresì ricercate, messe a punto e validate in pieno campo tecniche di controllo biologico e biotecnologico dei parassiti che si possono prestare quali strategie alternative all’uso di fitofarmaci. Si indaga sulla biologia del suolo, al fine di mettere a punto sistemi e pratiche colturali che mantengano elevata la fertilità del terreno. Si sviluppano e adattano al nostro contesto sistemi di valorizzazione energetica delle deiezioni zootecniche e delle biomasse sia agricole che forestali. Si studia l’effetto del cambiamento climatico sugli agroecosistemi, al fine di prevedere degenerazioni degli equilibri e sviluppare per tempo delle contromisure agronomiche. Data l’importanza di economizzare la risorsa idrica una parte significativa dell’attività è indirizzata allo sviluppo di sensori che informino sulla disponibilità di acqua per la coltura e allo studio delle tecniche per razionalizzarne l’apporto. Vengono sviluppati nuovi modelli di allevamento e conduzione di frutteti e di vigneti perché si adattino meglio all’implementazione delle più sostenibili tecniche di coltivazione. In definitiva vengono testati strumenti innovativi da offrire all’agricoltore perché possa perseguire, con maggior facilità e con il giusto riscontro economico, il proprio obiettivo di sostenibilità. Tutto ciò è integrato da una intensa attività formativa e dimostrativa volta ad aumentare il grado di consapevolezza dei singoli operatori circa le potenzialità offerte loro dall’innovazione tecnica, di modo che ognuno di loro si senta ingaggiato nella personale ricerca di un maggior grado di sostenibilità della propria azienda.
E allora, come nei nostri spostamenti quotidiani di solito non facciamo affidamento su una sola modalità locomozione, ma consapevoli dell’impatto ambientale diretto ed indiretto che deriva della nostra esigenza di mobilità, scegliamo il mezzo che meglio si adatta alle esigenze di quel determinato momento, non escludendo di avvalerci di mezzi diversi lungo uno stesso percorso, così l’agricoltore conscio dei rischi per la salute dell’ambiente che derivano dalla sua attività, e cosciente delle soluzioni tecniche messe a disposizione dalla ricerca e dalla sperimentazione, perseguirà la massima sostenibilità della sua produzione adottando la combinazione di tecniche agronomiche che meglio si adattano al contesto ambientale, economico e sociale nel quale si troverà ad operare.
Grazie quindi anche alle attività messe in campo da FEM, il futuro dell’agricoltura non può che essere decisamente indirizzato verso livelli di sostenibilità sempre più elevati, i quali possono oggi essere verificati e quantificati attraverso strumenti di misura oggettivi (carbon footprint, water footprint, indici di biodiversità, ecc). Dobbiamo però essere consapevoli, che lo sviluppo di un sistema alimentare salubre e sostenibile dal punto di vista ambientale non possa focalizzarsi sulla sola produzione, ma debba necessariamente essere inteso come una integrazione fra produzione e nutrizione, che si concretizzi nella formulazione di diete alimentari salubri, componenti essenziali, assieme, perché no, anche alla mobilità, di uno stile di vita veramente sostenibile.
Bibliografia
Aguilera E., Guzmán G., Alonso A. 2015. Greenhouse gas emissions from conventional and organic cropping systems in Spain. II. Fruit tree orchards. Agron. Sustain. Dev. 35:725–737
Alaphilippe A., Simon S., Brun L., Hayer F., Gaillard G. 2013. Life cycle analysis reveals higher agroecological benefits of organic and low-input apple production. Agron. Sustain. Dev. 33: 581–592
Cerutti A.K., Beccaro G.L., Bruun S., Bosco S., Donno D., Notarnicola B., Bounous G. 2014. Life cycle assessment application in the fruit sector: State of the art and recommendations for environmental declarations of fruit products. Journal of Cleaner Production 73: 125-135
Goossens Y. Annaert B., De Tavernier J., Mathijs E. , Keulemans W., Geeraerd A. 2017. Life cycle assessment (LCA) for apple orchard production systems including low and high productive years in conventional, integrated and organic farms Agricultural Systems 153: 81–93.
Keyes S., Tyedmers P., Beazley K. 2015. Evaluating the environmental impacts of conventional and organic apple production in Nova Scotia, Canada, through life cycle assessment. Journal of Cleaner Production 104: 40-51.
Lee K.S., Choe Y.C. Sung Park S.H. 2015. Measuring the environmental effects of organic farming: A meta-analysis of structural variables in empirical research. Journal of Environmental Management 162: 263-274
Longo S., Mistretta M., Guarino F., Cellura M. 2017. Life Cycle Assessment of organic and conventional apple supply chains in the North of Italy. Journal of Cleaner Production 140: 654-663.
Mie A., Kesse-Guyot E., Kahl J., Rembialkowska E., Anderson H.R., Grandjean P., Gunnarson S. 2016. Human health implication of organic food and organic agriculture. Science and Technology Options Assessment – European Parliamentary Research Service, Scientific Foresight Unit. Brussels. pp 82.
Romare M., Dahllöf L. 2017. The Life Cycle Energy Consumption and Greenhouse Gas Emissions from Lithium-Ion Batteries. IVL Swedish Environmental Research Institute, Report n°C 243. ISBN 978-91-88319-60-9
Rouault A., Beauchet S., Renaud-Gentie C., Jourjon F. 2016. Life cycle assessment of viticultural technical management routes (tmrs) : comparison between an organic and an integrated management route. J. Int. Sci. Vigne Vin, 50 (2): 77-89
Tuomisto H.L., Hodge I.D., Riordan P., Macdonald D.W. 2012. Does organic farming reduce environmental impacts? A meta-analysis of European research. Journal of Environmental Management 112: 309-320
Villanueva-Rey P., Vázquez-Rowe I., Moreira M.T., Feijoo G. 2014. Comparative life cycle assessment in the wine sector: biodynamic vs. conventional viticulture activities in NW Spain. Journal of Cleaner Production 65: 330-341